domenica 17 gennaio 2010

DOMANDE RILEVANTI

Di Sua Divina Grazia A.C.Bhaktivedanta Swami Prabhupàda
Fondatore Acàrya della Società Internazionale per la Coscienza di Krishna

Quando un bambino passeggia con il padre fa sempre delle domande. Gli chiede molte cose strane e il padre deve rispondere in modo soddisfacente. Quando ero un giovane padre, durante la mia vita di famiglia, ero sommerso dalle centinaia di domande del mio secondogenito, mio costante compagno. Un giorno, mentre eravamo in tram, passò un corteo nuziale e mio figlio, che allora aveva quattro anni, come al solito chiese cosa fosse quella processione. Diedi tutte le possibili risposte alle sue innumerevoli domande sulle feste matrimoniali e così, alla fine, lui mi chiese se anche io ero sposato! Questa domanda fece scoppiare a ridere tutti i presenti più anziani, sebbene il bimbo fosse perplesso dalle nostre risa. Il piccolo fu in un certo qual modo soddisfatto di sapere di avere un padre sposato.
Questo aneddoto fa capire che l’essere umano, essendo un animale razionale, è nato per rivolgere domande. Maggiore sarà il numero delle domande, tanto più grande sarà l’avanzamento nella conoscenza e nelle scienze. L’intera civiltà materiale è basata su una quantità enorme di domande poste in origine dai giovani ai più anziani. Quando le persone anziane forniscono una risposta appropriata alle domande dei giovani, la civiltà progredisce, passo dopo passo. L’uomo più intelligente, comunque, rivolge domande su quanto accade dopo la morte.
I meno intelligenti pongono meno domande, mentre le domande dei più intelligenti aumentano sempre più.
Tra gli uomini più intelligenti c’era Mahàràja Pariksit, il grande re che governava il mondo intero, che fu maledetto da un brahmana a morire entro sette giorni per il morso di un serpente. Il brahmana che lo aveva maledetto non era che un ragazzo, eppure era molto potente; non conosceva l’importanza di quel grande re e scioccamente lo maledisse a morire dopo sette giorni. Più tardi il padre del ragazzo, che era stato offeso dal re, si rammaricò dell’accaduto. Quando il re seppe dell’infausta maledizione, lasciò immediatamente il palazzo e andò sulle rive del Gange, vicino alla capitale, per prepararsi all’imminente morte.
Dato che era un grande re, quasi tutti i grandi saggi ed eruditi si riunirono nel luogo dove egli si mise a digiunare in attesa di lasciare il suo corpo mortale. Anche Sukadeva Gosvami, il più giovane tra i santi di quel tempo, giunse in quel luogo e fu prescelto all’unanimità per presiedere l’assemblea, sebbene fosse presente il suo illustre padre.
Il re offrì rispettosamente a Sukadeva Gosvami il posto d’onore e gli rivolse domande importanti riguardanti il trapasso da questo mondo mortale che sarebbe avvenuto il settimo giorno. Il grande re, degno discendente dei Pandava, grandi devoti del Signore, rivolse le seguenti importanti domande al grande saggio Sukadeva.
“Mio caro Signore, tu sei il più grande tra i grandi trascendentalisti, perciò ti chiedo umilmente quali sono i miei doveri in questo momento. Sono sul punto di morire. Che cosa devo fare in questo momento critico? Ti prego dimmi, mio signore, che cosa dovrei ascoltare, chi dovrei adorare o chi dovrei ricordare in questo momento? Un grande saggio come te non si ferma in una casa più del necessario, ed è perciò grazie alla mia buona fortuna che tu, gentilmente, sei venuto qui nel momento della mia morte. Ti prego, quindi, di istruirmi in questo momento tanto difficile”.
Il grande saggio, dopo che il re gli ebbe rispettosamente rivolto tali domande, rispose autorevolmente poiché era un grande erudito in materia trascendentale e aveva qualità divine essendo degno figlio di Badarayana, o Vyasadeva, il compilatore dei testi vedici.
Sukadeva Gosvami disse: “Mio caro re, le tue domande sono molto pertinenti e tutte le persone di tutti i tempi ne trarranno beneficio. Tali domande, che sono le più elevate, sono importanti perché sono confermate dagli insegnamenti del Vedanta Darsana, la conclusione della conoscenza vedica e sono atmavi-sammatah; in altre parole, anime liberate, che hanno piena conoscenza della propria identità spirituale, pongono tali serie domande per fornire ulteriori informazioni sulla trascendenza”.
Lo Srimad Bhagavatam è il commento naturale dei grandi Vedanta (o Sariraka) sutra, che furono compilati da Srila Vyasadeva. I Vedanta sutra sono i testi vedici più elevati e contengono il nucleo basilare di domande sulla conoscenza spirituale. Eppure, sebbene Srila Vyasadeva avesse compilato questo grande trattato, la sua mente non era soddisfatta. Incontrò quindi Srì Narada, il suo maestro spirituale, che gli consigliò di descrivere la personalità di Dio, la Persona Suprema. Dopo aver ricevuto questa istruzione, Vyasadeva meditò sul principio del bhakti-yoga , che gli mostrò distintamente cos’è l’Assoluto e cos’è la relatività, o màyà. Una volta raggiunta la realizzazione perfetta di tutto ciò, compilò la grande narrazione dello Srìmad-Bhàgavatam, il bellissimo Bhàgavatam, che inizia descrivendo i reali fatti storici della vita di Mahàràja Pariksit.
Il Vedànta –sutra comincia con la domanda chiave circa la Trascendenza: athato brahma-jijnasa: “E’ il momento di fare domande sul Brahman, la Trascendenza”.
Fintanto che un uomo è nel pieno vigore della vita, dimentica la cruda verità della morte che dovrà incontrare. Uno sciocco non pone domande pertinenti sui veri problemi della vita. Tutti pensano di non dover morire, sebbene l’evidenza della morte sia davanti ai loro occhi ad ogni istante.
Questa è la differenza tra animalità e umanità. Un animale come la capra non ha il senso della morte imminente. Sebbene un suo simile sia stato macellato, la capra, attratta dall’erba verde che le viene offerta, sta lì tranquilla, in attesa del proprio turno. Un essere umano, invece, se vede un suo compagno venire ucciso da un nemico, lotta per salvare il suo confratello, oppure scappa, se possibile, per mettere in salvo la propria vita. Questa è la differenza tra un uomo e una capra.
Un uomo intelligente sa che la morte nasce con la sua stessa nascita. Sa che sta morendo ad ogni secondo che passa e che il tocco finale verrà dato allo scadere del suo periodo di vita. Perciò si prepara per la prossima vita o per liberarsi dalla malattia delle ripetute nascite e morti.
Lo sciocco, invece, non sa che questa forma umana si raggiunge dopo una serie di nascite e morti imposteci in passato dalle leggi della natura. Non sa che l’essere vivente è eterno e non subisce né nascita né morte. Nascita, morte, vecchiaia e malattia sono imposizioni esterne all’essere vivente, e sono dovute al contatto con l’energia materiale e alla dimenticanza che l’essere vivente ha riguardo la propria natura eterna e divina e la propria eguaglianza sul piano qualitativo con l’Assoluto. La vita umana ci dà l’opportunità di capire questa verità. Così, l’inizio del Vedànta-sùtra spiega che, poiché abbiamo ottenuto questa preziosa forma di vita umana, è nostro dovere domandarci: “Che cos’è il Brahman, che cos’è la Verità Assoluta?”.
Un uomo non sufficientemente intelligente non si pone interrogativi sulla sua vita trascendentale, ma solo su cose poco importanti che non hanno nulla a che fare con la vita eterna. Fin da piccolo fa domande alla madre, al padre, agli insegnanti, ai professori, , ai libri e a molti altri, ma non saprà mai nulla sulla propria vera esistenza.
Come già detto, Mahàràja Parìksit, sapendo di dover morire entro sette giorni, lasciò il suo palazzo per prepararsi. Il re aveva a disposizione sette giorni per prepararsi alla morte, ma noi, anche se siamo consapevoli di dover morire, non abbiamo idea di quando accadrà. Io non so quando morirò. Neppure un uomo famoso come Gandhi poteva prevedere di dover morire, neanche con cinque minuti di anticipo, né i suoi illustri associati poterono prevedere la sua morte imminente.
Eppure, tutti questi gentiluomini si presentano come grandi illuminati.
E’ l’ignoranza riguardo la vita e la morte a distinguere l’animale dall’uomo. L’uomo, per potersi davvero considerare tale, deve fare domande sulla vita e su ciò che egli è. Da dove proviene prima di nascere e dove andrà dopo la morte? Perché è sottoposto ai tre tipi di sofferenza nonostante non li desideri? Sin dall’infanzia, si fanno domande su tante cose, ma a volte non si fanno sulla vera essenza della vita. Questa è animalità. Non c’è alcuna differenza tra un uomo e una bestia per quanto concerne i quattro principi, perché ogni essere vivente esiste per mangiare, dormire, difendersi e riprodursi. Solo la vita umana è fatta per porre domande pertinenti la vita eterna e la trascendenza. La vita umana è quindi fatta per la ricerca sulla vita eterna e il Vedànta-sùtra indica che bisogna condurre questa ricerca ora o mai più. Se non si pongono ora domande su questi aspetti importanti della vita, si tornerà certamente nel regno animale per legge di natura. Perciò, anche se uno sciocco sembra progredito nelle scienze materiali, cioè nel mangiare, dormire, difendersi, accoppiarsi e così via, non può, per natura, liberarsi dalle mani crudeli della morte. Le leggi della natura agiscono sotto tre influenze: la virtù, la passione e l’ignoranza.
Coloro che vivono in virtù sono promossi al livello spirituale superiore, coloro che vivono sotto l’influenza della passione rimangono nel mondo materiale, nello stesso posto dove sono ora, ma chi vive in ignoranza sarà sicuramente degradato alle specie inferiori.
La situazione moderna della civiltà umana è rischiosa, perché non offre alcuna istruzione sulle domande pertinenti ai principi essenziali della vita. Come gli animali, le persone non sanno che dovranno subire molto dalle leggi della natura. Sono soddisfatte con una manciata d’erba verde e una cosiddetta vita divertente, come la capra che aspetta nel mattatoio. Vedendo vite umane così disperate, cerchiamo di fare un umile tentativo per salvare gli esseri umani con il messaggio di Ritorno a Krishna. Questo metodo non è falso. Se ci sarà un’era di verità, il messaggio di Ritorno a Krishna sarà l’inizio di quell’era.
Secondo Srì Sukadeva Gosvami, in realtà un grhamedhì, o una persona legata come una capra per i problemi e le necessità animalesche, agli affari di famiglia, società, comunità, nazione, o di tutta l’umanità (cioè mangiare, dormire, difendersi e accoppiarsi) e che non ha conoscenza della trascendenza, non è migliore di un animale. Potrà aver fatto domande su materie scientifiche, politiche, economiche, culturali o altri simili argomenti di carattere temporaneo, materiale, ma se non ha posto domande sui principi della vita trascendentale, deve essere considerato come un cieco guidato da sensi incontrollati e prossimo a cadere in un fosso. Questa è la descrizione di un grhamedhi. Il contrario di grha-medhì, comunque, è grha-stha. Il grhastha-àsrama, cioè la vita spirituale condotta in seno alla famiglia, è giusta quanto la vita del sannyasì, l’ordine di rinuncia. L’importante è fare domande serie, al di là del fatto che una persona ha famiglia o sia completamente rinunciata. Un sannyasì può essere falso se non è interessato a fare domande importanti, e un grha-stha, un uomo di famiglia, può essere sincero se le fa. Il grha-medhì, invece, è interessato solo alla vita animale. Per natura, la vita del grhamedhì è piena di disgrazie, mentre la vita del grhastha è piena di felicità. Ma nella società umana moderna i grhamedhì fan finta di essere dei grhastha. Bisogna saper distinguere. La vita di un grhamedhì è piena di vizi perché egli non sa come condurre la famiglia. Egli non sa che oltre al suo, c’è un potere che vigila e controlla tutte le attività e non ha alcuna cultura spirituale. Il grhamedhì non vede il futuro e non ha attitudine a fare domande rilevanti. L’unica sua caratteristica è di essere legato dalle catene dell’attaccamento, alle falsità con le quali è venuto in contatto nella sua esistenza temporanea.
Di notte, tali grhamedhì sprecano il loro tempo prezioso dormendo o soddisfacendo i loro impulsi sessuali, al cinema o nei club, nelle bische dove indulgono generosamente fra donne e liquori. Di giorno sprecano tempo prezioso accumulando denaro o, se ne hanno abbastanza, rendendo sempre più agiata la vita delle loro famiglie. Il loro standard di vita e i loro bisogni personali aumentano con l’aumentare delle loro entrate. Quindi non c’è limite alle loro spese e non sono mai sazi. Di conseguenza c’è una concorrenza illimitata nel campo dello sviluppo economico e per questo non c’è pace nel mondo.
Sono tutti confusi dalle stesse domande su come fare soldi e su come spenderli, ma alla fine tutti devono dipendere dalla misericordia di madre natura. Quando c’è scarsità di produzione o ci sono disturbi causati dalla provvidenza, i poveri pianificatori incolpano la natura crudele ma non vogliono cercare di capire chi in realtà detenga il controllo della natura. La Bhagavad-gìtà, comunque, spiega che le leggi della natura sono controllate da Dio, la Persona Suprema. Dio è il solo controllore della natura e delle sue leggi.
I materialisti ambiziosi a volte esaminano un frammento di leggi della natura, ma non si interessano mai di sapere chi le abbia create. La maggior parte di loro non crede nell’esistenza di una Persona Suprema, di Dio, che controlla le leggi della natura. Piuttosto, si interessano dei principi secondo i quali elementi diversi interagiscono, ma non fanno alcun riferimento alla direzione suprema che rende possibile tali interazioni. Non hanno domande importanti o risposte a questo proposito. Il Vedànta-sùtra, comunque, risponde alle domande essenziali sul Brahman asserendo che il Brahman, la Trascendenza Suprema, è Colui dal Quale ogni cosa è generata. In definitiva, Egli è la Persona Suprema.
Non solo il povero grhamedhì ignora la natura temporanea del particolare tipo di corpo che ha, ma non vede neppure la vera natura di ciò che succede dinnanzi a lui nelle sue vicende quotidiane.
Magari vede morire il padre, la madre, un parente o un vicino, eppure non si chiede nulla sul fatto che tutti moriranno. A volte pensa, e sa che tutti i membri della sua famiglia moriranno prima o poi, e che anche a lui toccherà la stessa sorte. Sa che tutta la famiglia (la comunità, la società, la nazione e via dicendo) non è che una bolla temporanea nell’aria, che non ha valore permanente. Eppure impazzisce per situazioni temporanee e non si interessa di cose più importanti. Non sa dove andrà dopo la morte. Lavora molto per questa sistemazione temporanea, ma non organizza mai nulla per il futuro, né per sé, né per chi gli è accanto.
Sui mezzi pubblici, come i treni, incontriamo e ci sediamo con persone sconosciute e diventiamo membri del medesimo veicolo per un breve lasso di tempo, ma poi ci si separa per non incontrarsi mai più. Allo stesso modo, in una lunga vita, abbiamo un posto a sedere temporaneo in una cosiddetta famiglia, paese o società, ma quando il tempo scade ci separiamo dagli altri, contro la nostra volontà, per non incontrarci mai più. Ci sono molte domande sulle nostre sistemazioni temporanee, ma un uomo che è un grhamedhì non se le pone mai. Siamo indaffarati a fare piani su cose caduche, senza conoscere la natura permanente della realtà.
Srìpada Sankaràcàrya, che si sforzò in particolar modo di rimuovere questa ignoranza nella società e che sostenne il culto della conoscenza spirituale del Brahman impersonale onnipervadente, in preda alla disperazione, disse: “I bambini giocano, i ragazzi hanno cosiddette relazioni amorose con le ragazze, e gli anziani pensano di poter rimediare a una frustrante vita di lotte. Ma, ahimè, nessuno è preparato a fare domande pertinenti la scienza del Brahman, la Verità Assoluta".
Srì Sukadeva Gosvamì, a cui Mahàràja Parìksit si rivolse per istruzioni, rispose alle importanti domande del re consigliandolo come segue:

tasmàd bhàrata sarvàtmà
bhagavàn ìsvaro harih
srotavyah kìrtitavyas ca
smartavyas cecchatàbhayam

“O discendente del re Bhàrata, colui che desidera liberarsi da ogni sofferenza deve ascoltare ciò che riguarda Dio, glorificarlo e ricordarsi di Lui, che è l’Anima Suprema, Colui che tutto controlla e che libera da ogni sofferenza”. (S:B:2.1.5)

Srì Sukadeva Gosvamì ha usato, in particolare, quattro termini riguardo Dio, la Persona Suprema. Queste parole distinguono la Persona Assoluta, o Parabrahman, dalle altre persone che sono qualitativamente uguali a Lui. Dio, la Persona Assoluta, è chiamato sarvàtmà, o onnipervadente, perché nessuno è separato da Lui, sebbene non tutti abbiano questa realizzazione.
Dio, la Persona Suprema, con la Sua emanazione plenaria, risiede nel cuore di tutti come Paramàtma, Anima Suprema, insieme all’anima individuale. Perciò ogni anima individuale ha una relazione intima con Lui. La dimenticanza di questa eterna relazione intima è la causa della vita condizionata.
Ma poiché Egli è Bhagavàn, la Persona Suprema, può corrispondere immediatamente alla chiamata di un Suo devoto.
Inoltre, poiché Egli è la Persona Perfetta, la Sua bellezza, la Sua opulenza, la Sua fama, la Sua forza, la Sua conoscenza e la Sua rinuncia, sono tutte fonti inesauribili di beatitudine trascendentale per l’anima individuale.
L’anima individuale è attratta da tutte queste opulenze manifestate in modo imperfetto dalle anime condizionate, ma, a causa dell’imperfezione, non è mai soddisfatta e cerca perennemente la manifestazione perfetta. La bellezza di Dio, la Persona Suprema, non ha confronti, né la Sua conoscenza e rinuncia. Ma soprattutto Egli è ìsvara, il Controllore Supremo. Attualmente, siamo controllati dagli agenti di polizia. Il controllo della polizia ci è imposto per via della nostra abitudine a disobbedire alla legge.
Ma il Signore, poiché Egli è Hari, può annientare la nostra vita condizionata e darci piena libertà nell’esistenza spirituale.
E’ perciò dovere di ogni uomo porre domande serie sul Signore e ritornare a Lui.

Da “Ritorno a Krishna” VOL. 4 N. 3/4 Marzo/Aprile 1992